Il
termine “gioco” in Analisi Transazionale (A.T.) viene usato per indicare degli
scambi comunicativi tutt'altro che divertenti o quanto meno che alla fine
conducono a sensazioni particolarmente sgradevoli e dolorose.
Si
snodano seguendo delle regole, delle costanti e dietro una scena apparentemente
razionale e trasparente, si nasconde una manovra inconscia sleale, una specie
di trucco. Viene allora spontaneo domandarsi: Ma cosa diamine è successo? Sembrava
scivolasse tutto così regolare e ad un certo punto è cambiato tutto e mi
ritrovo con un mattone sullo stomaco, una sensazione così spiacevole
senza rendermi conto di come ciò sia potuto avvenire.
Ogni
individuo tende proprio a giocare i suoi giochi psicologici preferiti,
ricreandoli con persone diverse e in contesti diversi di volta in volta ma portandosi
dietro quella sensazione di disagio di un qualcosa che al di fuori della sua
consapevolezza va ripetendosi nella sua vita. Perciò si domanda: “Ma come è possibile che sia successa
nuovamente la stessa cosa?” magari nell'ennesima relazione di amicizia o
relazione d’amore o nel lavoro, e via dicendo.
Nella
definizione di Vann Joines, il gioco
è un “processo consistente nel fare
qualcosa con un motivo ulteriore che è al di fuori della consapevolezza Adulta,
non diviene esplicito finché i partecipanti non cambiano il modo in cui si
stanno comportando e ha come risultato il fatto che ciascuno si sente confuso,
incompreso e accusa l’altro” (Stewart e Joines, 1987; pp. 420-421).