Il
termine “gioco” in Analisi Transazionale (A.T.) viene usato per indicare degli
scambi comunicativi tutt'altro che divertenti o quanto meno che alla fine
conducono a sensazioni particolarmente sgradevoli e dolorose.
Si
snodano seguendo delle regole, delle costanti e dietro una scena apparentemente
razionale e trasparente, si nasconde una manovra inconscia sleale, una specie
di trucco. Viene allora spontaneo domandarsi: Ma cosa diamine è successo? Sembrava
scivolasse tutto così regolare e ad un certo punto è cambiato tutto e mi
ritrovo con un mattone sullo stomaco, una sensazione così spiacevole
senza rendermi conto di come ciò sia potuto avvenire.
Ogni
individuo tende proprio a giocare i suoi giochi psicologici preferiti,
ricreandoli con persone diverse e in contesti diversi di volta in volta ma portandosi
dietro quella sensazione di disagio di un qualcosa che al di fuori della sua
consapevolezza va ripetendosi nella sua vita. Perciò si domanda: “Ma come è possibile che sia successa
nuovamente la stessa cosa?” magari nell'ennesima relazione di amicizia o
relazione d’amore o nel lavoro, e via dicendo.
Nella
definizione di Vann Joines, il gioco
è un “processo consistente nel fare
qualcosa con un motivo ulteriore che è al di fuori della consapevolezza Adulta,
non diviene esplicito finché i partecipanti non cambiano il modo in cui si
stanno comportando e ha come risultato il fatto che ciascuno si sente confuso,
incompreso e accusa l’altro” (Stewart e Joines, 1987; pp. 420-421).
Ecco
brevemente quali sono le caratteristiche
tipiche dei giochi:
· sono
ripetitivi, ovvero ciascuno tende a
giocare più volte i suoi giochi preferiti;
· sono
giocati al di fuori della consapevolezza
dell’Adulto, infatti la persona non si rende conto di contribuire lei stessa a
quel tipo di gioco;
· ad
un certo punto del gioco avviene uno scambio di transazioni ulteriori tra i giocatori, cioè a livello psicologico
accade qualcosa di diverso rispetto a quanto sembra accadere a livello sociale;
· nel
gioco c’è un momento inaspettato in
cui i giocatori sperimentano un senso di confusione,
per cui ciascuno si riscopre in un ruolo diverso rispetto a quello iniziale;
· il
gioco implica sempre una svalutazione
di sentimenti, pensieri o azioni proprie o degli altri, oppure di aspetti
rilevanti della situazione reale;
· alla
fine i giocatori provano un’emozione spiacevole
(un’emozione parassita)
Vediamo adesso
alcuni esempi di giochi tra quelli più frequenti.
Paolo e Giada si
conoscono e dopo un po’ di tempo si innamorano. Paolo all’inizio è molto carino
con Giada, ma pian piano diventa poco affettuoso, non le fa mai una sorpresa,
mai un regalo e Giada tende sempre a giustificarlo, che poi in fondo quello è
il suo carattere. Dopo un paio di anni che vivono insieme, Paolo inizia a
trattarla male, qualche volta rientra tardi la sera senza avvisare e Giada
rimane comunque al suo fianco e trova sempre una qualche spiegazione al suo
comportamento. La situazione va avanti così ancora per qualche anno fino a che
di punto in bianco Giada se ne va di casa con un altro. Paolo prova in tutti i
modi a riconquistarla ma lei diventa sempre più fredda e dura. Non riesce
proprio a capire cosa sia successo, si sente spaesato e depresso. Eppure non è
la prima volta che si trova in questo tipo di situazione, lasciato e rifiutato
dalla sua compagna dall’oggi al domani. Senza rendersene conto Paolo porta
avanti il gioco “Prendimi a calci”.
Giada d’altro canto si era ritrovata altre volte a conoscere uomini
inizialmente stupendi con lei e che poi iniziavano a trattarla male e ogni
volta lei li giustificava fino a cambiare idea improvvisamente e non volerci
avere più niente a che fare. Senza saperlo anche Giada porta avanti un gioco “Ti ho beccato!”
Francesca incontra la
sua carissima amica Milena che come spesso accade inizia a raccontarle tutte le
sue disgrazie. Adesso Milena si lamenta più del solito perché ha perso il
lavoro, non può mantenersi l’appartamento e non sa come fare. Francesca si
rende conto che stavolta la situazione è proprio difficile e vuole essere di
aiuto all’amica, così inizia a offrirle tutta una serie di ottimi consigli su
come potrebbe fare per risolvere il problema del lavoro e di conseguenza della
casa. Stranamente Milena scoraggia ogni buon consiglio trovandovi sempre un
difetto o un qualche problema aggiuntivo e da ultimo, assai scocciata, dice a
Francesca: “Lasciami stare che mi sono proprio stufata di stare a sentire tutti
i tuoi ridicoli consigli!” Da un lato Francesca si ritrova impotente, delusa,
confusa e dall’altro Milena si riconferma la sua idea che tanto nessuno la può aiutare.
Mentre Francesca stava inconsapevolmente giocando a “Perché non…” o “Sto solo
cercando di aiutarti”, Milena giocava il suo “Sì, ma…”.
Nel suo libro “A
che gioco giochiamo”, Berne (1964) prende in esame moltissimi giochi i cui nomi
sono facilmente comprensibili, come negli esempi visti sopra, suddivisi a
seconda dei contesti in cui vengono abitualmente osservati:
- giochi della vita (ad esempio “l’alcolizzato”, “prendetemi a calci”, “guarda cosa mi hai fatto fare”, ecc.)
- giochi coniugali (es. “tutta colpa tua”, “spalle al muro”, “l’occupatissima”, ecc.)
- giochi di società (es. “perché non… sì ma”, “il goffo pasticcione”, “non è terribile”, ecc.)
- giochi sessuali (es. “burrasca”, “vedetevela tra voi”, “la perversione”, ecc.)
- giochi della malavita (es. “guardie e ladri” ecc.)
- giochi dello studio medico (es. “sto solo cercando di aiutarti”, “lo stupido”, “gamba di legno”, “psichiatria”, ecc.
- giochi “buoni” (es. “la vacanza di lavoro”, “il sapiente del villaggio”, “saranno contenti di avermi conosciuto”, ecc.)
A partire dai nomi
che Berne ha usato, si capisce che i giochi possono essere giocati a diversi
gradi di intensità: dai cosiddetti giochi
di primo grado che vengono tranquillamente accettati socialmente, ai giochi di secondo grado che diventano
più pesanti e non sono facilmente resi noti al pubblico della propria cerchia
sociale, fino ai giochi di terzo grado
che per usare le parole di Berne “… è il gioco senza esclusione di colpi, che
si conclude in clinica, al tribunale o all’obitorio” (Berne, 1964, pag. 73).
Quali sono i motivi
per cui le persone giocano?
Il gioco svolge una
funzione di difesa e di gratificazione
e permette alla persona di riconfermarsi il proprio “copione di vita” (lo
prenderemo in esame nel capitolo 7).
Berne elenca una serie di vantaggi che il giocatore
può trarre:
Ø
Vantaggi
psicologici interni ed esterni legati al mantenere salde le proprie convinzioni
di copione ed il proprio sistema di riferimento. Es. Giada nel giocare a “Ti ho
beccato” si riconferma la sua conclusione che “ tanto gli uomini sono tutti
degli stronzi” ed evita di chiedere direttamente ciò di cui ha bisogno e di far
sapere all’altro ciò che non le va bene del suo comportamento.
Ø
Vantaggi
sociali interni ed esterni legati alla strutturazione del tempo nelle relazioni
più vicine e della propria cerchia sociale. Es. Giada si relaziona
“intimamente” con il suo uomo attraverso il suo ruolo iniziale di vittima e
racconterà alle sue amiche tutti gli atteggiamenti ostili del compagno
inizialmente ridendoci sopra e giustificandolo.
Ø
Vantaggio
biologico per cui si soddisfano la fame di struttura, di stimoli e di carezze
siano esse positive o negative.
Ø
Vantaggio
esistenziale che permette alla persona di confermare la propria identità e di
conservare la propria posizione esistenziale. Nel caso di Giada sarà “io vado
bene e sono una che tollera tantissimo dei comportamenti scorretti altrui, mentre
degli altri non ci si può fidare”.
I giochi possono
essere analizzati attraverso differenti modalità. Di seguito accenno brevemente
alle principali:
Ø
Utilizzo
del diagramma transazionale, ovvero
facendo un’analisi delle transazioni ulteriori sviluppate nelle diverse fasi
del gioco (vedi capitolo 2);
Ø
utilizzo
della formula G di Berne
Gancio + Anello = Risposta - Scambio - Confusione - Tornaconto
Ø
il
triangolo drammatico di Karpman
attraverso il quale vengono descritti i ruoli che i giocatori si scambiano inconsapevolmente
durante il gioco (ruoli di Vittima, Salvatore o Persecutore)
Ø
il
programma del gioco di John James,
il quale ha elaborato una serie di domande che aiutano a comprendere come si
sviluppa e procede il gioco.
Come vedremo meglio
parlando del copione di vita, i
giochi non fanno altro che aiutarci nel riconfermare le decisioni alla base del
nostro personale copione. Essi ci permettono di mantenere in vita e anzi di rinforzare
quanto abbiamo appreso in passato, attuando le stesse modalità difensive con le
quali ci siamo garantiti la sopravvivenza nelle situazioni emotivamente più
difficili e traumatiche. È molto importante avere consapevolezza di ciò anche
quando si intraprende un percorso di cambiamento e di crescita. Talvolta,
infatti, rendendosi conto dei propri giochi attualmente disfunzionali, ci
verrebbe semplicemente voglia di liberarcene, eliminando ciò che non ci piace
di noi con una sorta di rimprovero e disprezzo. Comprendere amorevolmente ciò che siamo e come abbiamo imparato a
reagire è la prima fase per permetterci poi di rivedere consapevolmente le
decisioni prese un tempo e ridecidere
oggi in modo più funzionale a noi stessi e all’ambiente in cui viviamo. Ricordiamo
che i nostri giochi ci offrono ogni volta l’opportunità
di risolvere “i nostri conti in sospeso con il passato”, di chiudere gestalt
ancora aperte e dolorose, per rivolgerci verso il nuovo e verso tutto ciò che è
potenzialmente più funzionale per noi.
Detto ciò, possiamo
certamente divenire consapevoli dei
giochi che tendiamo a mettere in atto o di quelli in cui più facilmente
tendiamo a cadere quando ci vengono proposti da altre persone. Nel momento
stesso in cui ci accorgiamo di essere dentro ad un gioco, abbiamo la
possibilità di scegliere come procedere. Possiamo utilizzare molte opzioni
(come accennate nel capitolo 2) per cambiare
lo stato dell’Io dal quale ci stiamo muovendo. Ad esempio, se mi rendo
conto che stiamo giocando al “Perché non… sì ma” ed io mi sto adoperando a
sfornare ottimi consigli cestinati immediatamente dalla mia amica, potrei dal mio
stato dell’Io Adulto dire: “Cosa vuoi che io faccia in questo momento per te?”
rimettendo alla mia amica la possibilità di esprimere di cosa ha bisogno e come
potrei esserle di aiuto. In tal modo io posso permettermi di uscire dal ruolo
di Salvatrice, uscendo dal gioco. Non è detto che questo faccia uscire dal
gioco anche la mia amica, che potrebbe continuare a fare la Vittima.
Non si può
obbligare l’altra persona ad uscire da un gioco, si può soltanto cercare di
invitarla fuori e certamente possiamo scegliere di rimanerne noi fuori. Molte
volte possiamo semplicemente ignorare il
gioco e focalizzare la nostra attenzione su altro di più funzionale.
Possiamo scegliere di passare
all’intimità con l’altra persona, quando questa è molto importante per noi,
cambiando quindi la modalità e il livello di interazione (ad esempio abbraccio
calorosamente e sentitamente la mia amica condividendo la sua sofferenza e
offrendole la mia semplice presenza). Possiamo altrimenti fermarci a cogliere
quali sono i bisogni che ci spingono a cadere
in quel gioco, per esempio se per me aiutare gli altri mi fa sentire amata,
sarà importante, oltre a rendermene conto, che mi permetta di amarmi e sentirmi
amata anche quando non sono di aiuto.
È importante
ricordare che in qualunque momento ci accorgiamo di essere finiti in un gioco è
come se avessimo già acceso una luce nell’ambiente buio dove stavamo andando
carponi, così da poterci rialzare, guardare intorno e scorgere le numerose vie
di uscita che possiamo mettere in atto, compresa quella di stare semplicemente consapevoli di dove siamo.
Bibliografia
Berne
E. (1964), A che gioco giochiamo: un
classico della psicologia contemporanea, Bompiani, Milano, 1997.
Mastromarino
R. e Scoliere M., Introduzione
all’Analisi Transazionale: “Il modello 101”, IFREP, Roma, 1999.
Ricardi
F., L’Analisi Transazionale: il sé e
l’altro, Xenia, Milano, 1997.
Stewart
I. e Joines V. (1987), L’Analisi
Transazionale: guida alla psicologia dei rapporti umani, Garzanti, Milano,
2000.
Woollams S.
e Brown M. (1978), Analisi Transazionale:
psicoterapia della persona e delle relazioni, Cittadella, Assisi, 1990.
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