martedì 5 agosto 2014

Capitolo 6 – LE POSIZIONI DI VITA

Quando in Analisi Transazionale si parla di “posizioni di vita” ci si riferisce alle convinzioni e agli atteggiamenti fondamentali che un individuo ha su di sé e sugli altri, sul valore essenziale che percepisce in sé e negli altri e più in generale nel mondo.

Eric Berne sosteneva che durante l’infanzia il bambino prende le sue decisioni in base alle esperienze vissute e da ciò deriva l’assumere una posizione di vita fondamentale. Ad esempio, se un bambino non si è sentito amato dalla mamma perché lo sgridava spesso e vedeva che lei rivolgeva tutte le sue attenzioni amorevoli verso la sorellina, potrebbe aver deciso tra sé: “Io sono cattivo e non posso essere amato” e di conseguenza potrebbe assumere la posizione che lui non va bene così come è, mentre gli altri sì (la mamma e la sorellina).

Claude Steiner sostiene l’ipotesi che la posizione di vita fondamentale sia assunta ancor prima, nei primissimi mesi di vita. 

La possibilità di vivere una relazione di sintonia e tranquillità tra mamma e neonato, permette al bambino di sviluppare una posizione fondamentale “Io sono buono, tu e gli altri siete buoni” ovvero una posizione di fiducia di base. In situazioni difficili e minacciose per il bambino o che egli percepisce come tali, svilupperà invece una posizione di sfiducia di base. Questo rappresenta il punto di partenza su cui il bambino fonda le proprie decisioni su di sé, sugli altri e sul mondo che daranno forma al suo personale copione di vita, che prenderemo in esame nel prossimo capitolo.
Le quattro posizioni di vita fondamentali sono:

1.  Io sono ok, tu sei ok (++)
2.  Io non sono ok, tu sei ok (−+)
3.  Io sono ok, tu non sei ok (+−)
4.  Io non sono ok, tu non sei ok (−−)

Analizzando il significato di queste affermazioni è importante tenere presente come il soggetto “Io” si riferisca a ciò che credo rispetto a me stesso; il soggetto “Tu” possa riferirsi a qualunque altra persona che ho di fronte, a qualunque altro diverso da me e si possa estendere a più persone; vi si può aggiungere anche il concetto più generale del mondo e dell’universo. È utilizzato il verbo “essere” perché ci si riferisce proprio alla sfera dell’essenza e dell’esistenza; quindi non riguarda la sfera del fare, ciò che io faccio o gli altri fanno, bensì ciò che io sono e gli altri sono. L’essere “Ok” sintetizza il concetto di valore, di andare bene, di considerarsi degni di vivere, amare e essere amati.
Possiamo seguire la griglia elaborata da Franklin Ernst (1971) per cogliere meglio gli aspetti connessi alle diverse posizioni esistenziali.

Nella posizione io ok-tu ok sperimentiamo lo star bene con noi stessi e con l’altro o gli altri, quindi andiamo d’accordo e andiamo avanti con l’altro. Viene chiamata posizione sana, vincente, costruttiva, collaborativa, evolutiva. Ad esempio, mi fermo a fare la lezione di matematica con una compagna di scuola e mi accorgo che un esercizio ci dà risultati completamente diversi. Lo riguardo e scopro che avevo fatto un errore, lo correggo e controllo di nuovo il risultato con la mia compagna. Dentro di me, il mio sentire di fondo è stato sempre “io vado bene così come sono e la mia compagna va bene così come è”, siamo entrambe degne di rispetto e dotate di valore e capacità di comprendere e apprendere. Non dubito di questo né quando sono io a fare un errore né se lo fa l’altra persona e mantengo un atteggiamento costruttivo di andare avanti con me e con l’altro.
Nella posizione io non ok-tu ok sperimentiamo il senso di non essere all’altezza, di non essere adeguati o degni di valore, e tutto questo lo attribuiamo invece all’altro o agli altri. Con questo sentimento tendiamo ad allontanarci, ad andare via dall’altro e ci rinchiudiamo in noi stessi svalutandoci. Questa posizione viene anche definita depressiva o suicida. Secondo Thomas Harris (1967) questo è l’atteggiamento universale della primissima infanzia, quando il bambino percependosi piccolo, fragile e dipendente dall’adulto, si considera necessariamente inferiore alle persone grandi che lo circondano. Il pensiero di Harris riprende la teoria interpersonale di Harry Stack Sullivan e il “sentimento di inferiorità” di Alfred Adler nella sua psicologia individuale. Riprendendo l’esempio riportato sopra, nel quale sono a far matematica con una compagna e alla fine di un esercizio otteniamo risultati diversi, se mi trovo nella posizione “io non ok-tu ok” mi sento immediatamente a disagio e inadeguato, subito mi attribuisco la colpa di aver sbagliato e magari di non capire alcunché di matematica e potrei addirittura abbandonare il compito, allontanandomi probabilmente dalla mia compagna o mettendola su un piedistallo irraggiungibile.
Nella posizione io ok-tu non ok sperimentiamo il vissuto di quanto gli altri sono sbagliati, inadeguati e non degni di valore, mentre solo noi valiamo davvero. Quindi tendiamo a volerci sbarazzare e liberare degli altri indesiderati. Questa posizione viene anche definita di arroganza, paranoide o omicida. Nell’esempio sopra citato, dal momento che vedo il mio risultato diverso da quello della mia compagna, addebito l’errore sicuramente a lei senza neppure verificare, squalificandola come una stupida incapace. Se invece mi rendo conto che ho commesso io un errore, ugualmente attacco la mia compagna, magari per avermi distratto con le sue moine oppure utilizzo un’altra giustificazione vagamente plausibile. In ogni caso continuo a sentirmi in una posizione di superiorità e svaluto l’altro.
Nella posizione io non ok-tu non ok sperimentiamo il senso di non valere nostro e altrui, la totale inutilità di chiunque e di qualunque cosa, il vissuto di fallimento, la non speranza “tanto… non c’è niente da fare”. Questa posizione viene definita di superficialità, di inutilità, schizoide o schizofrenica. Nell’esempio, dal momento che mi rendo conto di aver fatto un errore, inizio a rimproverarmi aspramente e a criticare anche la mia compagna che mi ha fatto sbagliare, come se dicessi “non si vale proprio niente e non si può fare niente per uscirne”.

Ciascuno di noi avrà provato cosa significa stare in una di queste posizioni, perché facilmente possiamo passare da una all’altra. Tuttavia è possibile notare quale posizione tendiamo a sperimentare con maggiore frequenza, la nostra posizione esistenziale prediletta.
Abbiamo accennato a come questa si formi presto nella nostra vita quando il bambino in base alle sue esperienze trae una sorta di conclusioni su se stesso e sul mondo che lo circonda.
Fintanto che viviamo, non ci sono conclusioni così definitive e immodificabili, quindi possiamo cambiare anche la nostra posizione esistenziale di base, grazie al renderci maggiormente consapevoli di come funzioniamo e grazie alle nuove esperienze a cui andiamo incontro.



Bibliografia



      Enrst F. (1971), The OK Corral: the grid for get-on-with, in TAJ 1, 4, pp. 231-40.     
      Harris T. A. (1967), Io sono ok tu sei ok, BUR, Milano, IV edizione, 2004.

      Mastromarino R. e Scoliere M., Introduzione all’Analisi Transazionale: “Il modello 101”, IFREP, Roma, 1999.

      Ricardi F., L’Analisi Transazionale: il sé e l’altro, Xenia, Milano, 1997.

      Stewart I. e Joines V. (1987), L’Analisi Transazionale: guida alla psicologia dei rapporti umani, Garzanti, Milano, 2000.


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