Come potremmo anche solo immaginare la nostra vita senza emozioni? Ne perderebbe l’essenza, proprio perché le emozioni danno il colore, il sapore, il gusto, il di più alla nostra esistenza.
Nella cultura occidentale si
sono andati formando man mano dei pregiudizi negativi su come le emozioni,
generando scompiglio e confusione, possano allontanarci dal tenere sotto
controllo la realtà che ci circonda e quindi dissuaderci dagli obiettivi che vogliamo
realizzare. A lungo andare, un tale orientamento può solo creare un malessere
profondo nell’individuo e nella società, con la conseguente sensazione di
appiattimento e di grigiore della vita, di non senso e di perdita di contatto
con se stessi, con gli altri e con l’ambiente. Purtroppo è facile vedere
intorno a noi un amico o un conoscente la cui luce negli occhi non brilla da
tempo, che se accenna un sorriso è giusto di circostanza e che stenta a dare un
senso alla sua esistenza.
Permettersi di sentire, di
aprire totalmente i nostri sensi e la nostra mente al mondo emozionale
significa riappropriarsi della nostra più intima essenza, tornare a sentirsi
vitali e dar valore alla vita.
COME
POSSIAMO DEFINIRE UN’EMOZIONE?
Prima di proseguire, definiamo
meglio cosa si intende con la parola emozione.
Mi viene in mente una canzone di Povia del 2009 che si intitola appunto
Emozione:
“L'emozione è quando ti sorridono gli occhi e ti
diventano lucidi; l'emozione non ti avverte e non c'è niente da fare; l'emozione
fa tremare; in tutte le cose i tuoi sensi sono vivi”.
Molti studiosi hanno cercato di
definire più propriamente le emozioni e diversi modelli teorici sulle emozioni
si sono susseguiti nel tempo. Vediamo da vicino due definizioni dell’emozione:
-
“Con il termine emozione facciamo
riferimento ad uno stato psicofisico
legato a stimoli specifici che ha luogo in un periodo di tempo generalmente
breve.” (Perna G., pag. 19)
-
“... cerchiamo di pensare alle
emozioni come a fenomeni dinamici
creati all’interno dei processi cerebrali di valutazione dei significati, che
risentono direttamente di influenze sociali.” (Siegel D. J., pag. 123)
La prima definizione sottolinea
l’aspetto psicofisico e la durata breve delle emozioni. Quindi, ci permette di
distinguere meglio le emozioni dagli stati d’animo ovvero l’umore che si riferisce al tono generale
delle emozioni nel tempo, uno stato costante e durevole che costituisce una
specie di filtro rispetto allo scorrere delle emozioni piacevoli o spiacevoli.
La seconda definizione
sottolinea la dinamicità delle emozioni, il coinvolgimento di molteplici
processi (la valutazione cognitiva e l’attribuzione di significati, ed infine
l’influenza del contesto sociale poiché la mente non può essere socialmente
isolata, perciò è sempre relazionale).
La principale via di
comunicazione delle emozioni è data dai comportamenti
non verbali: sguardo, tono di voce, espressione del volto, gestualità e
movimenti del corpo. Nelle nostre relazioni ci lasciamo guidare continuamente da
queste sottili forme di comunicazione, spesso senza neppure rendercene conto.
Quante volte ci ritroviamo a dare per certe le intenzioni altrui basandoci
sulla lettura dei gesti e della mimica di colui che abbiamo di fronte? Pensiamo
a quando il nostro partner distrattamente ci dice “Certo che ti amo tantissimo”
e nel frattempo notiamo un velo di disperazione sul suo volto all’ennesimo goal
subito dalla sua squadra del cuore. Certo, non era il momento migliore per
chiedere un’attenzione di tale importanza. In ogni caso, non percepiamo la sua
risposta per quello che dicono le sue parole.
Le emozioni ci forniscono
un’utile guida al comportamento,
infatti, la loro principale caratteristica è quella di preparare il nostro
cervello e l’intero organismo all’azione. Pensiamo all’importanza dell’emozione
nel determinare le nostre scelte e decisioni. In linea di massima, ciò da cui
ci sentiamo attratti ci conduce ad avvicinarci; ciò che percepiamo sgradevole o
negativo ci conduce invece ad allontanarci.
EMOZIONI
PRIMARIE E SECONDARIE
Alcune emozioni sono dette fondamentali o emozioni primarie perché tutti i popoli al mondo esprimono queste
emozioni in modo universale, attraverso medesimi pattern fisiologici, al di là
delle diverse culture. Nonostante ciò, è chiaro che le emozioni sono
intrinsecamente esperienze soggettive, per cui il modo di ciascuno di vivere
una stessa emozione è unico e personale.
L’antropologo americano Paul
Ekman, dopo aver condotto numerosi studi, giunse negli anni Ottanta ad
identificare le emozioni primarie, dimostrando l’universalità delle espressioni
facciali per tali emozioni in qualunque cultura.
Le sei emozioni di base
individuate da Ekman sono: gioia, tristezza, paura, rabbia, disgusto, sorpresa.
Tutte le altre emozioni vengono definite secondarie
o emozioni sociali, ovvero derivanti
da quelle primarie e maggiormente influenzate dalla ragione e dalla cultura.
Sono ad esempio l’imbarazzo, la vergogna, la gelosia, l’orgoglio, il senso di
colpa, ecc.
ESISTONO
EMOZIONI BUONE E EMOZIONI CATTIVE?
Quale che sia la qualità dell’emozione, non esiste
emozione di per sé buona o cattiva. Parlare di emozioni positive o negative può
essere fuorviante, quando induce a pensare che è bene provare solo emozioni
positive e cercare di evitare le emozioni negative. Alcune emozioni procurano
una sensazione piacevole più o meno intensa; altre emozioni procurano al
contrario una sensazione spiacevole più o meno intensa. Eppure ciascuna
emozione, piacevole o spiacevole, ha la sua ragion d’essere, svolge la sua
funzione. È utile, infatti, tenere in mente che l’emozione è un qualcosa di
passeggero che proviamo in un dato momento ed è parte della realtà di quel
momento e di quel contesto, perciò è importante sentirla ed esserne
consapevoli, accogliendola semplicemente per quello che è. Solo così può
risultare, in ogni caso, motivo di crescita e di apprendimento.
Tempo fa partecipai al funerale
di un anziano parente la cui moglie era morta improvvisamente. Lui se ne stava
seduto ricurvo su se stesso, silenzioso e addolorato. Ogni volta che si
avvicinava un parente, iniziava a piangere, talvolta anche rumorosamente, in un
pianto disperato. Allorché una signora sul punto di congedarsi disse: “Via,
vado via ma non mi fermo a salutarlo, altrimenti piange.” Un’altra parente
invece gli diede una pacca sulla spalla: “Su, su, zio, non essere triste! Lo
sai, no, è la vita! Non c’è da disperarsi!”
Così tante volte, con tutte le
buone intenzioni del caso, preferiamo reprimere le nostre emozioni e preferiamo
che anche gli altri facciano altrettanto, perché ci sembrano troppo dolorose e
la nostra mente vuole ingannarsi “facendo finta di niente” perché “bisogna
stare bene”. Spesso facciamo la stessa cosa di fronte ad emozioni piacevoli. Esprimere
la stima per un collega, l’affetto verso un’altra persona, la gioia di
condividere momenti belli, tutto ci sembra quasi scontato, anzi potrebbe creare
imbarazzo (in chi? in noi? negli altri?), fraintendimenti (se è verso qualcuno
dell’altro sesso), paura di essere giudicati mielosi oppure falsi, come se
chiedessimo qualcosa in cambio, e via dicendo.
CONOSCERE
LE EMOZIONI FONDAMENTALI
Allora, vediamo molto
brevemente il senso che ha ciascuna emozione, dopo di che possiamo domandarci
se abbiamo interiorizzato nella nostra crescita il permesso di sentire qualunque emozione avvertiamo in un dato
momento oppure se abbiamo in qualche modo appreso a reprimerne alcune a
vantaggio di altre.
La gioia :-)
Emozione piacevole di breve durata che si distingue dalla felicità, intesa invece come stato d’animo positivo che può durare a lungo. Rappresenta una spinta positiva alla vita: espressione verbale tipica è “sprizzare di gioia da tutti i pori”.
Emozione piacevole di breve durata che si distingue dalla felicità, intesa invece come stato d’animo positivo che può durare a lungo. Rappresenta una spinta positiva alla vita: espressione verbale tipica è “sprizzare di gioia da tutti i pori”.
Lo
stato di attivazione fisiologica che l’accompagna (aumento della tensione
muscolare, respiro irregolare...) determina un aumento della disponibilità di
energia che fa sentire più vivi, più brillanti e più socievoli.
Espressione
facciale tipica è il sorriso (quello con gli occhi oltre che con la bocca;
l’espressione dello sguardo è regolata dal cervello emotivo e non dalla
corteccia motoria volontaria).
Da
un punto di vista evolutivo, la gioia facilita il riprodursi della specie.
Numerosi
studi hanno dimostrato che la felicità non dipende da variabili quali età,
sesso, condizione socio-economica, salute, bellezza... Gli aspetti maggiormente
correlati con la felicità sembrano essere un carattere estroverso, la fiducia
in se stessi e la socievolezza.
L’individuo
felice tende maggiormente a costruirsi attivamente l’esperienza del mondo,
attira più facilmente a sé elementi ed eventi positivi, ha maggiori capacità di
apprendimento e di memoria.
La tristezza :’(
È
un’emozione legata alla perdita reale o immaginaria di qualcuno o qualcosa a
cui teniamo. Comporta una caduta di energia ed una chiusura in se stessi per il
bisogno di elaborare la perdita, di comprendere il senso e le conseguenze dei
cambiamenti avvenuti, ricercando rifugio e sicurezza.
L’espressione
del volto tipica comprende gli occhi socchiusi, gli angoli della bocca verso il
basso, le rughe sulla fronte, lo sguardo tende a essere fisso e può essere
accompagnata dal pianto.
La
funzione di questa emozione è di permetterci di adeguarsi a una perdita
significativa, avviando il processo di separazione, che è premessa per un
cambiamento e per l’instaurarsi di un nuovo equilibrio.
La paura =U
È un’emozione sgradevole accompagnata dal desiderio di evitare le situazioni o tutto ciò che la determinano.
Fronte
e sopracciglia aggrottate, occhi sbarrati e bocca semi-aperta; ai muscoli
scheletrici affluisce una maggior quantità di sangue, aumentano la tensione
muscolare e il battito cardiaco; un flusso di ormoni predispone l’organismo in
uno stato di allerta preparandolo all’azione. Si potrà optare per l’attacco, la
fuga o il rimanere immobilizzati quale migliore difesa.
La
paura è fondamentale per la sopravvivenza, poiché ci segnala un pericolo e ci
permette di preparare la reazione più adeguata al contesto.
La rabbia >:=@
Questa emozione è legata a uno stato di bisogno che risulta insoddisfatto; per cui nasce il desiderio di aggredire colui o ciò che si pone come ostacolo al soddisfacimento del bisogno.
Sguardo
fisso sull’avversario, fronte e sopracciglia fortemente aggrottate, contrazione
muscolare; voce intensa e stridula.
Dal
punto di vista dell’attivazione fisiologica, vi sono tachicardia, aumento della
tensione muscolare, aumento della sudorazione e della pressione sanguigna (il
sangue affluisce soprattutto alle mani per facilitare l’aggressione).
La
funzione della rabbia è quella di garantire la sopravvivenza, di raggiungere i
propri bisogni, di modificare la situazione a proprio vantaggio.
Il disgusto :=/
Ciò
che offende il nostro gusto o olfatto, anche metaforicamente parlando.
Si
manifesta attraverso il sollevamento del labbro superiore, gli angoli della
bocca spinti in basso, l’arricciamento del naso e il corpo che si contrae e si
allontana.
Ha
quindi la funzione di proteggerci da oggetti che potrebbero essere pericolosi.
La sorpresa :-O
Di fronte ad un evento inatteso di natura piacevole oppure spiacevole, spostiamo la nostra attenzione verso quanto accaduto nell’ottica di rivalutare il nostro piano d’azione. Ci permette quindi di comprendere meglio e riformulare il nostro comportamento.
Si
esprime attraverso il sollevamento delle sopracciglia, gli occhi spalancati e
la bocca aperta ad ovale.
R i a s
s u m e n d
o . . .
Possiamo
sintetizzare così: le emozioni permettono di dare
significato e colore alla vita, rappresentano un
valido strumento
di
comunicazione (per lo più di carattere
universale) e orientano verso l’azione. Esse svolgono
quindi un ruolo fondamentale per la sopravvivenza.
EMOZIONI AUTENTICHE ed
EMOZIONI PARASSITE
Come
abbiamo visto, le emozioni fanno naturalmente parte della nostra vita e sono
essenziali per le funzioni che svolgono nei diversi contesti.
L’emozione
autentica è
quella realmente provata in corrispondenza di una data situazione, per quella che
è la sua funzione naturale. Sono autentiche tutte quelle emozioni che vediamo
manifestarsi nel bambino piccolo, non ancora influenzato dai condizionamenti
sociali e culturali.
Cosa
accade quando all’interno di un sistema sociale non viene permessa, o viene
costantemente scoraggiata, l’espressione di una qualunque emozione autentica?
La
persona in questione imparerà certamente a reprimere l’emozione autentica, ad
esempio perché viene considerata negativa, e talvolta a sostituirla con
un’altra emozione, detta appunto emozione parassita.
“Definiamo
un’emozione
parassita
come un’emozione familiare appresa e
incoraggiata nell’infanzia, vissuta in molte diverse situazioni di stress e
inadatta quale mezzo adulto di risoluzione dei problemi.” (Stewart I.,
Joines V., pag. 267).
I
bambini imparano a usare emozioni parassite per adeguarsi a quanto richiesto
dai familiari e ottenere più facilmente soddisfacimento dei propri bisogni
all’interno della famiglia. Alcuni messaggi talora espressi direttamente o
indirettamente ai figli sono: “I bambini
non piangono come delle femminucce” oppure “Le bambine non si arrabbiano altrimenti diventano brutte”. È
importante tenere presente che questi messaggi passano solitamente per canali
diversi da quelli verbali e vengono tramandati con facilità da una generazione
all’altra attraverso il comportamento.
Divenire
consapevoli delle proprie emozioni parassite è il primo passo per permetterci
di recuperare le nostre emozioni autentiche, restituendo loro il valore e la
funzione originari. Infatti, solo l’espressione delle emozioni autentiche è
adeguata ed efficace nella risoluzione dei problemi presenti nel qui-e-ora.
La
paura autentica serve a risolvere un problema
che vedo nascere nel futuro; la rabbia
autentica permette
di risolvere i problemi nel presente; la tristezza
autentica facilita
il superamento di un evento doloroso avvenuto in passato; mentre la felicità autentica è semplicemente il godere del
momento presente, sentirsi a proprio agio e rilassati; insomma, il segnale che
non c’è proprio niente da cambiare.
Concludendo
…
Vorrei
concludere accennando a due testi di base sulle emozioni. Il primo di questi è
“Intelligenza emotiva” di Daniel Goleman ed è un libro scorrevole, piacevole da
leggere ed estremamente ricco di spunti su cui riflettere, offre una bella
motivazione per mettersi sempre più in gioco. L’altro libro è “L’alfabeto delle
emozioni” di Claude Steiner, scritto in modo molto semplice, riporta numerosi
esempi e accanto alle trattazioni teoriche, offre esercizi da mettere in
pratica per scoprirsi più consapevoli e competenti emotivamente.
Nella
sua SCALA DELLA
CONSAPEVOLEZZA EMOTIVA
Claude Steiner (1997) individua i seguenti livelli di consapevolezza.


Empatia
Causalità
Differenziazione
BARRIERA VERBALE
Esperienza
primaria
Sensazioni
fisiche
Insensibilità

[Tratto
da Steiner (1997), pag. 37]
Insensibilità: le emozioni sono come
surgelate, nel senso che la persona non si rende conto di percepire alcuna
emozione.
Sensazioni
fisiche:
soltanto le sensazioni fisiche che accompagnano l’emozione vengono percepite
(ad esempio il battito cardiaco accelerato, l’oppressione al petto, il nodo
allo stomaco …). Coloro che tendono a somatizzare le proprie emozioni
inespresse ricorrono spesso all’uso improprio di farmaci e esami medici.
Esperienza
primaria: la
persona coglie le emozioni vivendole come un mix di energia disturbante che non
riesce a comprendere né a verbalizzare. Possono manifestare scoppi di ira o
sfoghi emotivi incontrollati.
La
barriera verbale viene superata quando si ha intorno un ambiente
favorevole alla comunicazione emotiva, che accetta e garantisce la condivisione
del mondo emozionale.
Differenziazione: la persona riconosce le
diverse emozioni che prova (rabbia, gioia, paura, tristezza …) e scopre che può
vivere ciascuna di esse attraverso diverse intensità.
Causalità: le emozioni vengono
ricondotte ai motivi, agli eventi esterni o interni da cui sono scaturite.
Empatia: si intuiscono le emozioni
altrui, ci rendiamo consapevoli di quello che possono provare gli altri
sentendoci per un momento nei loro stessi panni.
Interattività: la persona comprende le
proprie emozioni, quelle altrui e come queste si interconnettono tra loro, quindi
prevede come gli altri possono reagire ai propri sentimenti.
Ecco
uno specchietto per focalizzare l’ABC
dell’intelligenza emotiva:
ü Autoconsapevolezza:
capacità di riconoscere e verbalizzare le proprie emozioni e sentimenti;
imparare a conoscere le proprie potenzialità ed i propri limiti per farne buon
uso.
ü Gestione delle emozioni:
gestire le proprie emozioni e comprendere cosa possono nascondere; assumersi la
responsabilità delle proprie azioni.
ü Capacità di empatia:
sapersi mettere nei panni degli altri assumendo il loro punto di vista e
comprendendo i loro sentimenti con il massimo rispetto.
ü Capacità comunicative ed
interpersonali: maggiori sono le modalità con cui
riusciamo a comunicare con gli altri e migliori saranno i risultati in termini
di rapporti interpersonali soddisfacenti, capacità di risoluzione dei conflitti
e dei problemi in genere.
Nozioni così basilari, aspetti
concreti e quotidiani estremamente importanti per la nostra vita meritano un’attenzione
di tutto rispetto, al pari di quanto ne hanno le conquiste fatte sul piano
dell’intelligenza cognitiva razionale.
Ecco come ce lo ricorda poeticamente
Kahlil Gibran nel suo libro “Il Profeta” (2004; pag. 89):
“La vostra
ragione e la vostra passione sono il timone e la vela della vostra anima che va
errando per mare.
Se la vela cede o
il timone si spezza, finite sballottati alla deriva, o restate immobili in
mezzo al mare.
Poiché se comanda
soltanto la ragione è forza che imprigiona; e la passione priva di controllo è
fiamma che brucia e si distrugge.
Lasciate quindi
che la vostra anima esalti la vostra ragione fino alla massima passione,
cosicché possano cantare;
E che diriga la
passione con la ragione, cosicché la passione possa risorgere ogni giorno e
come la fenice innalzarsi sopra le proprie ceneri.”
Bibliografia
Colasanti A. R., Mastromarino
R. (a cura di) (1994), Ascolto attivo,
IFREP, Roma.
Gibran K. (2004), Il Profeta, Giunti, Firenze – Milano.
Goleman D. (1995), Intelligenza emotiva: che cos’è, perché può renderci felici, Rizzoli, Milano, 2001.
Gray P. (1997), Psicologia, Zanichelli (prima edizione
italiana), Bologna.
Perna G. (2004), Le emozioni della mente: biologia del
cervello emotivo, Edizioni San Paolo, Milano.
Proietti G. (1999), Le emozioni: conoscerle, comunicarle e
ritrovare l’equilibrio, Xenia, Milano.
Siegel D. J. (1999), Trad. It. La mente
relazionale,
Cortina, Milano.
Steiner C. [con Perry P. ] (1997), Trad. It. L’alfabeto delle
emozioni: come conquistare la competenza emotiva, Sperling & Kupfer,
Milano, 1999.
Stewart I., Joines V. (2000; V edizione), Trad. It. L’Analisi
Transazionale: guida alla psicologia dei rapporti umani, Garzanti, Milano.
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